Un gran Design Tour all'interno di un albergo

Suite d’Autore. Art Design Gallery Hôtel, più che un albergo, è una teoria di opere d’arte e produzioni artistiche in esposizione e il nome scelto non produce alcuna dissonanza. Suite, oltre ad essere il lussuoso appartamento di un grande albergo, mi richiama alla mente, per il suono, sweet, che in inglese significa “dolce”. E non so se sia un caso che il verbo to sweteen, non significhi solo “zuccherare”, “addolcire”, ma “rendere piacevole”, “mitigare” e infine “purificare”. Se ci si sofferma sul significato di suite in italiano, anche qui il richiamo è suggestivo: si riferisce, infatti, allo splendido succedersi in musica di movimenti, note, brani e tempi, tutti della stessa tonalità (anche se di diverso genere). Di questo si tratta: di una struttura che si offre come una miscellanea di oggetti, opere, disegni e molto altro curata da persone diverse con pensieri diversi, ma con un unico intento: dare voce a un luogo e a un patrimonio storico e culturale che merita, ma che tutti dimenticano e visitano poco. Ecco perché il simbolo dell’albergo è un’impronta umana, opportunamente ripetuta e ostensibile per tutto il tratto di strada che conduce ad esso. Un segno pervicace, un calco che vuole restare, la traccia che vuole essere seguita. In realtà, l’impronta appartiene a uno degli Art Directors, Dario Russo, ma è lui stesso a precisare che il senso e il concetto appartengono a tutti.
L’albergo si affaccia su piazza Duomo e rappresenta, come suggerisce un primo ingresso nel cortile, il risultato dell’opera di restauro di un palazzo antico. Una volta entrati, ecco, una kermesse, una manifestazione collettiva di allegria, impegno, interesse, fantasia, calore. L’impressione è quella di aprire uno scrigno che racchiude, insieme ai colori delle sue gemme, anche infinite emozioni e una grande passione. Quello che traspare è la ricerca dell’autenticità e dell’identità. Tutto è stato studiato e curato nei dettagli. A cominciare dagli ammiccanti oli di Beppe Madaudo, immediatamente ammirabili nella hall e dall’originale oggetto, anch’esso frutto di creatività, in cui vengono riposte le chiavi delle stanze (sette in tutto), e a continuare dai corridoi dei due piani, fino alla sala della caffetteria.
Le pareti in cristallo del vano ascensore consentono di ammirare la bellezza di un albergo in cui anche il più piccolo pezzo è opera di un artista. Rapiti dall’estasi visiva che offre il dipinto di Angelo Arrigo che corre lungo tutto l’ascensore, salire al piano di sopra significa lasciarsi “sollevare” o trasportare verso un piano immaginario. Tentando un’interpretazione, questo è, a mio parere, il senso latente della disposizione dell’opera: essa è l’espressione del rifiuto di intrappolare la percezione delle cose in una finita e prevedibile “com-posizione” pittorica. Un sogno di Leonardo da Vinci era quello di vedere gli uomini volare nel cielo come uccelli. L’opera di Arrigo così posta è un dono visivo che ristora chi ne fruisce dal danno di essere ex-fanciulli, spesso ignari di potere ancora fantasticare. Non stiamo forse guardando un’opera mentre saliamo o fluttuiamo nell’aria? Non è l’opera a rappresentare il volo, ma siamo noi a volare. Il sinergismo di questi due movimenti, quello reale e quello irreale, rappresenta il movimento stesso della vita, dei pensieri e della realtà, che dinamicamente si trasforma e muta posizione. Sono opere che gettano un ponte di dialogo tra i vari autori, che si muovono sulla scena dell’immaginario, e tra i visitatori, che si muovono, invece, sulla scena reale. Tutte le opere evocano magici, vincenti, maturi e speranzosi eroi impegnati a cambiare il fato e suggeriscono, appellandosi alla scienza e alla cultura, semplicità, libertà e condivisione. Libertà di esserci a Piazza Armerina, al centro della Sicilia, laddove la monotonia lasci spazio alla politonalità. Ma allora sarà tutto ammassato alla rinfusa? No, tutto ha una logica e un senso. Tutto è uniformemente e sintonicamente incorporato tra mattoni e cemento. Tutto è di tonalità differente, ma dello stesso ordre (variante di suite), perché il denominatore comune è identico: amore, amore per l’arte, amore per la famiglia, amore per il patrimonio del luogo e amore per l’agapè, cioè la condivisione del tutto.
Lo si vede anche dalla qualità dell’accoglienza riservata agli ospiti. «Amiamo coccolare la gente, come se fosse essa stessa un’opera d’arte», dice Elena Gemma, mamma del proprietario. A questo fa da spalla il magico panorama della terrazza e il poetico e simbolico lampadario che risalta al centro della caffetteria, chiamato Bird bird bird ‘uccello uccello uccello’ perché simula, anche attraverso la possibilità di direzionare a proprio piacimento i fasci di luce, uno stormo di uccelli che si librano plasticamente. L’albergo, al di là dei costi effettivi richiesti dalla messa in opera della struttura, è il risultato della manodopera di designer e artisti – artisti della tela, della pietra o del vetro – che si sono prestati a dare un contributo solo per il piacere di partecipare alla creazione di qualcosa di importante. Il team di tutti i progettisti coinvolti nell’impresa ha operato in maniera perfettamente armoniosa nel cercare di raccontare la storia del design attraverso cinque temi diversi, variamente rappresentati in cinque delle sette camere dell’hotel. Dario Russo e Cesare Esposito hanno curato il concept generale dell’albergo galleria. 1. C’è la stanza della “Geometria”: rappresenta il design nelle avanguardie costruttive del primo novecento fino agli anni Venti e si propone come nucleo di raccordo delle esperienze astratte. Il fecondo scambio di esperienze artistiche che ha caratterizzato l’epoca e che ha dato vita a nuove forme di comunicazione artistica e figurativa trasuda da ogni piccolo pezzo della camera.
2. Un’altra è la stanza della “Leggerezza”: rappresenta il Movimento moderno dei decenni successivi ed è caratterizzata da tutto ciò che può dare l’idea della leggerezza. Le tinte sono tali da non risentire delle variazioni indotte dai giochi di luce ed ombra. Particolarmente d’effetto è la concezione spaziale del movimento che, anche se si ripete in tutto l’albergo, è maggiormente risaltata in questa camera dagli accessori e dalle forme scelte con qualche declinazione o connotazione addirittura non esoterica, ma spiritualista. Sostanze pittoriche e plastiche, concrete e tangibili si muovono come un processo alchemico verso l’armonia interiore o verso ‘una realtà interna alla nostra coscienza’, come taluni concepiscono lo spazio in architettura. Gli oggetti si vedono e non si vedono, lasciando circolare i raggi di luce, che si muovono proprio grazie ai fili di acciaio disposti in tutta la stanza a disegnare una rete.
3. “Magia e Ironia” del Design Italiano si incontrano nell’age d’oro tra gli anni ’50 e ’70 in una camera come in un corpo vergine, non ritroso però a ciò che è forte e, dunque, aperto, ''disponibile'' a tutte le progressioni del sapere e del colore, accogliendo l’elemento cromatico o l'elemento decorativo fino a ricavare dalla varietà ordine e armonia naturale.
4. C’è poi la stanza “Stravaganza”, in cui si è attratti da opere grafiche – tra cui spicca la sequenza fotografica di Antonio Scontrino dedicata al Gay Pride – che abbracciano l’intero periodo che va dalle origini del “movimento pop” fino ai giorni nostri. Immancabile, un richiamo notevole e piacevole al mondo del fumetto. Il letto è un’opera d’arte e di design di Gaetano Pesce, che esemplifica la situazione attuale nella quale è impossibile quanto azzardato distinguere nettamente il design dall’arte e viceversa. Disegnato da uno degli artisti più quotati, è un pezzo unico e irripetibile, anche se è un oggetto seriale.
5. Infine, la stanza della “Fluidità”: è, questo, un tema trasversale, che abbraccia tutti i temi trattati: dal modernismo catalano di Antoni Gaudí (la versione spagnola dell’Art nouveau) fino al contemporaneo con la libreria Bookworm di Ron Arad.
Le altre due camere sono dedicate rispettivamente, una, alla tradizione locale – con la ricostruzione di ambienti di fine ‘600 piazzese – e, l’altra, all’esposizione di prototipi di giovani designer. È un percorso insolito e curioso, un “gran design tour” per l’appunto, attraverso l’esposizione in parallelo di forme e prodotti estetici legati a diversi momenti della storia del Design, tutti altamente curati nello stile e negli accessori. In ogni stanza si trova una descrizione dettagliata delle opere (e del rispettivo autore) e del loro prezzo. Tutte le opere esposte nell’albergo – persino le originali maniglie di Giangi Razeto (diverse da stanza a stanza) –sono, infatti, in vendita. Vincenzo Germana, uno degli artisti che ha contribuito alla realizzazione dell’albergo, ha creato diversi oggetti “che si muovono e possono cambiare repentinamente”, utilizzando materiali che la gente butta nei cassonetti. Ne è un esempio una delle porte, singolare per il suo essere formata da fili di acciaio che partono da un tubo e vengono ancorati a una trave, una struttura che non chiude come una vera porta – conservando così visibilità e sensazione di libertà – ma che, come qualunque altra porta chiusa, non consente l’accesso al bar, che altrimenti sarebbe alla mercè di chiunque nelle ore notturne. Un altro esempio è dato dagli ‘scaccia colombi’: pezzi di canna fumaria che si muovono con il vento o con un semplice tocco, fatti con le molle di una rete da materasso lavorate fino ad assumere una forma esteticamente gradevole e... a prova di colombi! “Il movimento- dice l’artista-, la dinamicità creano delle vibrazioni, non fossilizzano, attraggono, fanno sentire liberi”.
Non si tratta di opere già esistenti, ma di opere fatte ad ok, in funzione del tema.
Nella sala della caffetteria, il tema seguito è: la “trasparenza”. Il bancone è in vetro mentre il materiale lucido delle sedie (le Luis Ghost di Philippe Starck), che si alternano sia bianche che nere, contribuisce a determinare riflessione ottica delle immagini, riverberandone i contorni. Tra le foto messe in mostra da Scontrino, una raffigura la città incorniciata da bolle metalliche, un’altra un manichino che si intravede attraverso i riflessi di una vetrina. Il fotografo ha colto l’attimo e su quell’attimo ha costruito l’immagine. Allo stesso modo, con la sua Farfalla, una scultura che spicca affianco al bancone, Madaudo ha fermato il movimento e con quel movimento ha diffuso la luce, sintetizzando il rapporto dialettico tra la leggerezza della farfalla e la femminilità. Viene subito alla mente la stanza della “Leggerezza”, dove, antinomicamente, è stata inserita un’altra opera di Madaudo, l’olio su tavola e pietre azzurre dal titolo Lottatore di sumo: lì però il lottatore di sumo è colorato di blu, come un (etereo) genio della lampada, mentre qui, nella sala caffetteria, la mole della scultura policroma raffigurante una farfalla determina una vera e propria cristallizzazione dell’animale, da sempre simbolo di leggerezza, e gli conferisce una caratteristica inusuale di pesantezza.
Ettore Messina è stato definito un “mecenate megalomane”, che ha soddisfatto il suo egocentrismo e la sua smania di protagonismo. Non ci sarà mai un guadagno tale da giustificare questo investimento, non solo economico. Investire così tanto per un albergo di sette camere è, di fatto, folle. Ma tutto lascia presupporre che si tratti di una megalomania basata sul buon senso, di un’apparente ostentazione (!) che ha lo scopo di suscitare interesse ed evidenziare. Non v’è stato spreco, nulla è andato disperso e nulla andrà perduto.
Chi ha contribuito alla costruzione della Suite “fai da te” si è solo reso conto di “volere di più” e di “poterlo avere”. Quello che merita di più è, poi, il luogo: Piazza Armerina.
“C’è sempre un modo per dare vita alle cose che non servono più”, dice ancora Elena, e questo è un insegnamento di grande valore, contro il consumismo e a favore della creatività umana.
La stessa formula è stata applicata nel trasformare una casa antica in una splendida opera di design, nonostante le non poche difficoltà iniziali legate alle caratteristiche strutturali di partenza dell’edificio. Così, in nome del principio trasmesso, ovvero che la cosa importante non è avere tutto ciò che si vuole ma apprezzare e migliorare ciò che si ha, anche le innumerevoli crepe che segnavano il legno delle travi portanti sono state sfruttate colandovi sopra del colore, acquisendo, quindi, un singolare valore figurativo. Ogni cosa si crea così: passo dopo passo e seguendo il principio per cui “da cosa nasce cosa”. Elementi fondamentali in qualsiasi professione sono l’improvvisazione e l’insight, oltre che cercare di predisporre l’ambiente all’accoglienza e al ricevimento ed è ciò che mi sembra animi l’opera nella sua interezza. Perché sarà il fluire delle persone a consentire quel movimento e quella dinamicità che creano vibrazioni, non fossilizzano, fanno sentire liberi e, che, al contrario degli ‘scaccia colombi’, attraggono...

Laura Valenti-Principe